mercoledì 28 ottobre 2009
A Salve
Sette.
Lo abbiamo detto
mi hai detto.
Mi hai detto,
lo abbiamo detto.
Cliente
del tuo cuore.
L'istantanea del
mio pensiero
ti muove.
I miei occhi
pagano il conto.
15.10.09
Binario morto
campana batte
il cucchiaino
sulle sue pareti
campana
tazza rovesciata
non capisco perchè
il treno è un
tassista che sbuffa
occhiali scuri
avanti e
indietro sul
marciapiede
Passìa avanti
e indietro
sul binario morto
distanti
ci tiene la vita
ed io
oggi
rimango qui
a
guardare
il binario morto,
in mano
la stessa pasta.
Barcellona P.G. 05.10.09
Tiffani
il caffè fu
è
vino bollente
nel mio cuore
gocce di
papavero
nel mio cuore
lì in ogni ora
passa.
14.10.08
S.S.
(ti) penso
ogni cosa
trova
la sua luce
spacca la mia ombra
e
ti
amo
d'incanto e sapienza.
Barcellona P.G. 13_10_09
mercoledì 16 settembre 2009
Lo scrigno
pagine come aspre salse al pomodoro.
Prometeo ha ricordi vaghi adesso.
Chiudo i meandri della certezza
per dilatare la mia testa.
Ricorda
sempre
queste
parole senza senso.
Nei labirinti di terminazioni nervose
riposano smorfie - mugugni - risa.
Emergono da cavità esplose.
Vedi ciò che vuoi Prometeo.
Ricorda ciò che sembri.
Intrecci il tempo
come filamenti di bambù
ed esso
diviene elastico.
Il tempo scorre
in canne vuote
e
diviene
idea.
Forgi le coorti dello spazio
ed io parlo
sempre
di te.
"Io" ti chiede
se sei felice.
Riempi bocche
d'aria
e
le parole volano via
lontano da te
si smarriscono
e metto i tuoi pensieri
fra parentesi.
Salvo queste righe
intatte
fino al sorgere
del grande fuoco.
Vedi?
Vedi come sembrano
finite
e
concluse
le pratiche?
Arcigni pensieri
dita maldestre
muovono
le fila
della testa.
Hai speso
preziose monete
per conoscere
il tuo tempo.
Adesso...
riguarda verso di te
spezza la corda
spiega le vele
avvinghia
la tua maschera
al tuo tempo
e
lo spazio
parlerà di te.
Voglio andare
e
rimango.
Lei non può saperlo.
Con quegli occhi dipinti
parlò
della sua esistenza
Quotidiana
con incoscienza intrecciava
rosari
di malinconia
ed
assenze.
Dalle sue mani
sbocciavano
mani.
Si inerpicavano mani.
Si allungavano mani
componendo
una folla di
innumerevoli
mani
protese verso
le tre nuvole.
martedì 15 settembre 2009
Mantide
strapperei questo mio cuore
per sbattere,
sulla tua fronte
sudata e rossa,
le mie ali.
Ma...
siamo troppo verdi
per nascondere
il brulicare
delle nuvole.
Questo piacere
e
questa gioia.
Questo pezzo di te
ed altro ancora
fino
alle sopranuvole.
08 aprile 2007
Biancanera
trasforma
un'agenda di nuvole
in un erbolario di parole.
Il resto?
Un gesto timido
di te.
Poi raccoglie
una soffice
spremuta nera
calda
di sguardi
sciolti e bianchi.
Poi...
che ne faremo
di noi?
13 aprile 2007
Autocombustione
con caratteri sospesi
ed un corpo buddista,
pigiando sulle corde
sintomi di luce...
RESISTI.
In un buio assordante,
stai.
Solo,
ma non sei disperso,
e non parli,
nascondi
e
ti distrai.
Esplodi,
ma non tieni le redini.
Ti fai di male
viaggi lontano
e distratto,
parlando di fiamme
amori
di fuochi
di colori blu.
21 aprile 2007
Alba
fingi di trovarne
nuova musica
ritagliando spazi di difesa
per tornare alla tua natura;
così ti fai largo,
nel buio
ricercando
nella forzata
assenza
segni di conquista.
Prigionia d'amore
e vita
fingi.
Eppure cercandomi.
21 Aprile 2007, Catania
giovedì 10 settembre 2009
Non so chi tu sia
spesso
in silenzio.
Nè più grande piacere
di sentire
le storie
raccontate
in silenzio.
Tutti scriviamo le storie
e
spesso
nell'incoscienza dell'azione.
L'azione che è solo apparenza.
Ci guida il silenzio del pensiero.
Quel silenzio
trova sempre
un giardino di vorticosa
calma
nell'amaca apparente
della tua anima.
giugno 2009
appunti
del giorno che passa
dell'ora che passa
del giorno che passa
del dirti che vorrei dirti
dell'ora che passa
nel giorno che passa...
del non dire mai se...
passa
a che ora passa
quest'ora.
Quell'ora
dell'ora che passa.
giugno 2009
giovedì 13 agosto 2009
Piramide di carta
di colui che non muore,
di colei che sopporta.
Chiamata che mi sgozza
ed addormenta
chiudendomi
in catene mammifere
10 Aprile 2007
Finestrino
Notare e farti notare
E così
Con lo sguardo annotare
E ancora
di silenzio annodare
catene silenziose
di affini fili
dettagli.
Rivista annotata
Sospesa, annodata
Tremula
Vagante
Ruvida storia
Vagante
Vedendo
Farsi sentire.
13/04/2006
Adesso tu dormi, mi stai lasciando qui ad attraversare la notte di questa domenica che è mattina
Autocombustione
corpo di caratteri sospesi,
di un corpo
buddista,
pigiando sulle corde,
sintomi di luce.
Resisti.
In un buio assordante, stai.
Solo, ma non disperso,
e non parli e nascondi e ti distrai.
Esplodi.
Ma non tieni le redini
e ti fai di male,
viaggi lontano
distratto,
parlando
di fiamme e amori
e di fuochi
e di colori blu.
Catania, 21 Aprile 2007
Per Lei
Quel viaggio che mi toglie il respiro, lasciandomi sottovuoto.
E se tu la leggessi forse ti sentiresti più sola,
ogni volta che parto per questo mio viaggio sempre all’inizio
e sempre spezzato dal dolore di questo amore infinito e incompleto.
E se tu la leggessi per, finalmente, sentire quanto ti amo ,
quanto vorrei averti vicina in ogni battito,
in ogni scelta, in ogni avventura segreta e in ogni piccolo respiro.
Quando tossico per il troppo fumo o per la troppa rabbia
per questa vita mia disperata e maldestra.
E se tu la leggessi
e capissi davvero quanto
si ricopre di nebbia questa ricerca di me stessa.
La pace del mio cuore, l’ironia delle mie ginocchia cingolanti.
E se tu la leggessi e capissi
quante volte tra te
e la mia vita
ho scelto te.
Fra la distanza e la prossimità
ho scelto te,
fra il certo e l’incerto
ho scelto te,
tra la pace e il dolore ho scelto te.
Tra il silenzio e le urla,
la gioia e l’angoscia,
il respiro e l’apnea,
ho scelto te.
Marzo 2009 Via Quasimodo, 6 – S. Gregorio (Ct)
martedì 11 agosto 2009
E anche lì
stamattina ti ho sognato.
Rotonda la mia faccia insistente sul cuscino,
rotonda la mia pancia inchiodata in giù
sulla soffice croce orizzontale del letto grande.
E c’eri tu in una labile e fioca luce gialla, in un certo silenzio, quello più grave e pericoloso che piano piano ho imparato a sentire, anche quando ti muovi e parli.
Che cosa buffa, questa specie di amore sentito, avvolto in quella specie di luce, soffrivo un po’ perché non riuscivo a vedermi, soffrivo un altro po’ per la mia paura razionale della tua razionale distanza venuta ad accompagnare quel lento spazio smisurato dove buffamente cercavo la mia buffa figura dispersa nell’estensione vuota a metà della tua persona.
E anche lì, d’improvviso, disturbandomi, ti sei rivelato quasi un tic tac profondo e contrario ed ostinato. D’improvviso hai disordinato la mia intelligenza incantata, la mia mente incosciente, il mio respiro ribelle e d’improvviso sei scomparso. Le tue dita decise mi hanno leggermente spinta alle spalle. Io sono scivolata pesantemente giù per le scale. Poi non ho ben capito se era il mio o il tuo di pianto, so che non ho pianto ma mi sono sentita piangere, come una bimba che si molleggia sul materasso e d’improvviso sbatte la testa sul legno, come quando la memoria si mescola nello spazio incosciente dell’ anima, come quando il senso del dolore lotta col dolore, infine come quando il dolore si allea con la rabbia e vince spingendo ancora più lontano lo stesso ricordo, lo stesso piacere, lo stesso desiderio.
E anche lì, d’improvviso, disturbandomi ti sei rivelato un tic tac profondo e contrario ed ostinato, ed eri il tuo stesso apriscatole che non riesce a fendere il proprio ghiaccio, eri il tuo stesso ghiaccio che mi ustiona inesorabilmente, eri malatamente rigido e rinchiuso nella tua fronte salata, eri il distillato delle tue tenerezze delle tue emozioni che colano da un alambicco troppo pieno.
E anche lì, d’improvviso, disturbandomi ti sei rivelato un tic tac profondo e contrario ed ostinato, ed io vedo adesso la mia figura ridotta ad un prezioso alambicco troppo pieno, ed io cerco di nasconderlo facendolo deviare da tutte le insidie che anche solo sfiorandolo lo scalfirebbero irrimediabilmente.
E anche qui, d’improvviso, disturbandomi ti sei rivelato un tic tac profondo e contrario ed ostinato, sei venuto ad origliare le mie parole, strappandomi i miei laceri indumenti a guardare questo mio senso della poesia che cancelli sussurandomi che tu non esisti, che la poesia non serve.
E anche qui, d’improvviso, disturbandomi ti sei rivelato un tic tac profondo e contrario ed ostinato, a dirmi che faccio l’amore con i miei due unici amanti che non esistono.
E anche qui, d’improvviso, disturbandomi ti sei rivelato un tic tac profondo e contrario ed ostinato, verrai a vedere crescere la mia muta follia dove cova una specie di cucciolo di tigre che lasci sempre vagare nelle umide mattine quando, qualche volta, si sente, in lontananza, un leggero pianto che si mescola al mio, quando guardandomi intorno vedo, in lontananza, la tua stessa torre che da qualche feritoia talvolta si lascia scappare il pianto, talvolta scaglia lame di ghiaccio.
E anche qui, d’improvviso, disturbandomi mi sono rivelata un tic tac profondo contrario ed ostinato, a battere la penna sul tavolo per trovare la tua abilità a darti una tregua, allentare le impugnature dei coltelli che ti irrigidiscono le braccia, per cogliere questo mio abbraccio che non sa servirti.
marzo 2009
Scarpe
Passeggiavo in silenzio, ricoperta da un alone di gioia, aprivo la piccola porta di quella che era stata la carbonaia di Palazzo Raffadali. Spalancavo, poi, l’unico finestrone scuro di legno, spettatore di puttane nigeriane, magnacci e, una volta (per fortuna solo una) di uno sparo che qualcuno lanciò nell’aria. Pensavo: ammazzano qualcuno. Mi domandavo, senza punto interrogativo: festeggiano il capodanno. Era il mese di settembre.
Vestita di un alone di gioia, illuminata da un calmo, grigio calmo e potente, aprivo la piccola porta , scendevo due o tre scalini, buttavo le scarpe per farmi accarezzare dalla colorata e fredda maiolica. In cucina…attraverso la piccola porta stile saloon, e… ancora una volta spalancavo di luce l’unico finestrone scuro di legno e…ancora una volta indietro, nella grande stanza detta ‘scala di legno e soppalco’ verso il tavolo di vetro davanti alla scatola di novello Corvo:
Chi ha preso le mie scarpe?
Chi le ha indossate?
Dove sono finiti tutti i miei lacci?
E i lucidi?
E le mie spazzole?
Che ora è adesso?
Perché non c’è nessuno
E non c’è rumore di tacchi
e non c’è nemmeno una luce accesa.
Dove sono le mie scarpe?
Chi le ha prese?
Perché sono qui, adesso. Le chiavi?
E le scarpe, le mie…
Ho visto un topo, si è nascosto lì dietro il banco.
C’erano le pezze. Dove sono i miei panni e le pelli.
Chi indossa le mie scarpe?
Chi le porterà domani su quella strada?
Resterò qui ad aspettare
Alla finestra per vedere
Domani le mie scarpe
Ai piedi di qualcuno
Domani.
Chi le porterà domani?
Portavo, poi, con me questo foglio di inchiostro nero strappato, colorato poi del rosso, di un grigio calmo, calmo grigio calmo. Ti giunge, oggi, quella calligrafia invisibile che seppe darmi una risposta, su quello stesso foglio che ritrovo, qui.
Nessuno le porterà? Perché nessuno ha
Preso le tue scarpe.
Nessuno le prenderà,
Nessuno vorrà prenderle.
Se cerchi bene sono lì, dove le hai buttate
Lì, nell’angolo oscuro delle case, delle stanze
Cariche d’umore, negli spazi sconsacrati
Lì, dentro il cerchio di lacci.
Lì, nella monnezza tra le carcasse di galli
Sgozzati.
Lì, dove la notte respira sotto lo sguardo giallo
Della scimmia.
Lì, dove la scimmia annusa e cambia posto
Alle cose.
Lì, dove vivono i fumi della sessantenne che
Scandisce il tempo tra le taverne del porto.
Lì, dove scalzo il bimbo cerca cibo e guarda
Il peccato e la menzogna, truccati da santi
Funamboli, giocare (smascherati dal sudore)
A dadi con la vita.
Lì, dove non si va se non hai le scarpe per danzare sui cocci di vetro.
Lì, tra lotta e lotta, tra danza e danza, nel formicaio d’occhi. Lì, tra artiglio e
Artiglio. Lì, dietro la poltrona vuota.
Lì, tra attimo e attimo.
Lì, dove incastrata tra un attimo e l’altro
Trovi ancora una volta – La morte che si è
Fermata stanca sul ventre di farfalla inguine
Simbolo appena accennato.
Lì, le trovi e si vedono dall’esterno attraverso una finestra sospesa nel vuoto.
Lì, le vedi?! Incastrate nei piedi doloranti intossicati e gonfi della vecchia signora coscienza
Precipitata troppo velocemente nel tempo.
Le vedi le S C A R P E
(Salvezza – Caduta – Ancora – Rapidamente – Per Eclissi)
2000-2009
Ustica
Via Prosegreto.
Centrifugami, cioise, sioux, city.
Siamo qui.
Incapperate.
18/06/2004
Epitaffio del caduto
2003
Ossidiana
Il giocattolaio baratta
tempo senza riposo
dell'imberbe femmina nera
che segue la scia
con gli occhi d'inverno
negli occhi di inverno,
al largo
nell'acqua notturna.
Lui, baratta,
al largo,
il suo tempo senza riposo.
Lei luce nella luce di ieri
riparava dalla pioggia
il calendario in terrazzo
di sassi e di foglie,
sottovuoto il suo desiderio.
“Aspettare, ogni giorno
aspettare,
alzarsi il vento
aspettare.
Scolpire ali di sale.”
Il giocattolaio baratta,
tempo senza riposo
dell'imberbe femmina nera
che segue la scia
con gli occhi d'inverno
negli occhi di inverno,
al largo
nell'acqua notturna,
Lei correva
sulla sabbia di ruggine
nel vento senza riposo,
seguiva la scia
di antiche ancore
con piedi sporcati di ruggine,
improvviso, nel vento,
lui ritornò.
Di mani impastate
ossidiana
intagliando le
sue ali
sudando
la schiena di sale
scolpendo
ed il vento più forte
scolpendo
la schiena di sale
scolpendo
ed il vento più forte
scolpendo.
Lei gocciolava
volando
colava
sopra il faro
colava
di rosso
mentre
sul mare scioglieva,
Lui con mani ossidiana
rideva.
Faro rosso
colando
guardava.
Il giocattolaio baratta,
tempo senza riposo
dell'imberbe femmina nera
che segue la scia
con gli occhi d'inverno
negli occhi di inverno,
al largo
nell'acqua notturna.
“Sali ossidiana di sale,
la vita di uno straniero
è ingiusta”.
Lipari-Salina
12-15 novembre 2007